THE BRONX
Eccomi qua di ritorno da una scampagnata nel Bronx. Si fa’ per dire. Le uniche zone verdi di questo desolato territorio urbano sono i parchi che, però, per motivi di degrado, menefreghismo collettivo e intolleranza alla natura, sono privi di erba.
Ora come abbiano fatto a ridurre un bucolico, romantico posto sulle colline fino al secolo scorso, in una discarica industriale ricoperta da edifici, chiaramente organizzati e distribuiti secondo la speculazione edilizia, e’ una bella domanda, corredata, però, già di risposta: denaro. Già, sonante denaro che ha fatto la fortuna di pochi intimi. Poi le immigrazioni dall’Africa e il Sud-America hanno concluso egregiamente l’opera di distruzione di un angolo di Paradiso. Considerato, poi, che qualche sera fa’ il taxista che mi riportava a casa, non sapendo assolutamente la via da percorrere (sì, capita anche questo), veniva guidato dalla sottoscritta ma nel momento in cui si e’ visto apparire davanti agli occhi la sagoma del Triborough Bridge (collegamento con il Bronx) illuminata di verde, voleva mollarmi lì sulla strada. E io a spiegargli che, no, non stavamo andando sopra il ponte ma di lì a poco avremmo imboccato l’ultima uscita prima dell’inferno. Ancora terrorizzato e non convinto dalle mie parole ha cominciato a rallentare tanto per agevolare la mia fuoruscita in caso lo stessi pigliando per il naso. Quando finalmente ha notato il maledetto cartello segnaletico con il numero dell’uscita, ha cominciato a rilassarsi e in perfetto inglese con leggera inflessione tra il cingalese e il dialetto di Bombey mi ha detto:
- Eh, eh io ho famiglia.
Tutto ciò per dirvi che sembra essere un posto molto tranquillo dove si aspira ad andare ad abitare.
Ad ogni modo c’era un gran bel fermento per le strade. Gente che andava e veniva in stagionati abiti anni ’70, gang di bellimbusti seduti sopra il tetto dell’auto che, orgogliosi della loro calza collant sulla testa e canottierona 100% polyestere, cazzeggiavano ascoltando dell’amabile, rilassante rap a volumi inverosimili e per finire una parata di pachidermiche ragazze-madri che portavano a spasso una covata di pargoletti in tenuta casual.
Tra l’abbandono di resti alimentari e lo scempio circostante, si può ammirare Grand Concourse una delle vie principali di questo tranquillo e suggestivo quartiere di New York, terra dei Riffs, che si estende per una decina di chilometri e fu costruita ad emulo dei famosi Champs Elysees parigini dei quali, anche se con tremendo sforzo immaginativo e sotto l’effetto del crack, non ricorda nemmeno i cassonetti delle immondizie.
Non vorrei avervi depresso troppo con questo racconto realista, perciò vi lascio dicendovi che nel Bronx c’e’ un fantastico zoo
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