Tuesday, July 17, 2007

L'ARTE DELLA CRAVATTA


Dunque, giro l’angolo e sono in Cornelia street, viuzza tranquilla del Village. Ristorantini, qualche personaggio il cui gusto in fatto di vestire lascia qualche buco nero di perplessita’. Del tipo che la tizia che ho incrociato, non ho ben capito se era scappata da un circo o da un manicomio ma girava con un paio di scarpette con i lacci bianche a pois rossi, i calzerotti di Pippi calzelunghe, la t-shirt di Totti da supercoppa superbamente portata sotto il bolerino del torero Camomillo e la capigliatura delle erinni quando si alzano di cattivo umore. Sorvolando sullo spiacevole episodio, vi racconto dell’art-show a sorpresa.

Lasciatami alle spalle l’icona dell’eleganza, mi trovo a sbattere il naso contro delle cravatte giganti, che penzolano dalla serranda di un locale chiuso. Sapevo che l’uomo più alto del mondo e, colgo l’occasione per suggerire all’organizzazione del guiness dei primati di eleggerlo a pieni voti anche come il più brutto del mondo, si era appena sposato ma non avevo avuto notizia del suo sbarco a New York. Un individuo in camicia da profugo e bermuda si affaccenda su di una scaletta e continua ad appendere i cravattoni. Lo avvicino:
- Scusi, ma lei non ce l’ha un armadio in casa?

L’uomo mi spiega che si tratta di un’ esposizione. Le cravatte sono le sue opere e sono pure in vendita: prezzo medio tra $ 1200 e $ 1500.
- Ah, ecco mi sembrava si trattasse di arte.
- Surrealismo – ribatte lui
Intanto lui, l’artista si muove come un furetto e monta la sua “personale”. Cravatte fatte di materiale riciclato, di jeans, di tessuto per tappezzeria, di sacchi di iuta e poi dipinte o decorate con oggetti suggeriti dal delirio.
Mentre mi racconta, dall’alto della sua scaletta, i retroscena di ogni singolo pezzo, io ho in mente un'unica domanda:
- ma tu, da che estetista vai?
Vi giuro che io due gambe depilate alla perfezione come quelle non le avevo mai viste, lisce come il ghiaccio, come un foulard di seta…una cosa che mi ha fatto morire dall’invidia poiché, a me, manco se passate su una fiaccola accesa, vengono due gambe così.

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Sunday, July 15, 2007

HO FATTO SPLASH


E’ estate. Fa caldo. Un immane desiderio di fresco prende il sopravvento. Che fare? Naturalmente, un salto in piscina. Le piscine comunali della città di New York offrono molto di più che semplice refrigerio. Le acque riservano una pletora di germi veramente difficili da debellare. Sciami di virus circolano liberamente in attesa dell’attacco finale, i batteri galleggiano a pelo d’acqua e si fanno la tintarella, funghi e dermatosi attecchiranno perfettamente alla vostra pelle. Nei giorni più fortunati si può incrociare anche la mononucleosi che va a farsi un giro sul materassino e molto, molto di più. Immergersi nelle fresche acque, rese sulfuree da un’epidemia di flatulenze, e’ un vero piacere.
Potrete anche scoprire malattie rarissime di cui nessuno era a conoscenza e partecipare al grande spettacolo della dieta americana: valanghe di cellulite, smagliature a tela di ragno, falde adipose a cascata libera, addomi collassati, ritenzione idrica dall’effetto “pesce palla”, depigmentazione totale o parziale e una sfilata di allegorici doppi menti. Chi volesse passare una giornata davvero speciale, non esiti a contattarmi per ulteriori informazioni.
E’ consigliabile utilizzare la piscina nei giorni più caldi dell’anno, quando la fetta della popolazione alla soglia della povertà vi si reca per rinfrescarsi in mancanza di un condizionatore e un vano doccia.

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Thursday, July 12, 2007

IL MIO GRASSO MATRIMONIO RUSSO-EBRAICO


Che dire? L’incostanza ha preso il sopravvento. Non me ne vogliate. Sono entrata nella fase dell’astrazione. Lasciate, comunque, che in questo stadio di vuoto improduttivo vi racconti del mio grasso, spassoso e alcolico matrimonio ebreo-russo.
Lo scorso week-end sono andata a Philadelphia. La città? No, niente di speciale, piuttosto noiosa ma l’evento che mi ci ha portato e’ stato il matrimonio di un amico.
Ecco, tanto per cominciare vi racconto dell’hotel che ho prenotato perché segnalato nelle partecipazioni di matrimonio.
Una volta entrata nella stanza assegnatami, sono stata piacevolmente sorpresa dalla “bufera infernal, che mai non resta”, prodotta da un potentissimo condizionatore per ambienti industriali installato nella stanzetta dei sette nani. Mi aspettavo di trovare Minosse seduto sul water, invece ho trovato del filo interdentale usato sul lavandino e i peli di un levriero afgano. Decido, quindi, di spegnere il tifone e fare una pennichella prima di affrontare il tour de force dello sposalizio. Non appena sollevo il copriletto, mi si presentano alla vista delle sospette chiazze marroni che ricoprono i cuscini e le federe, come se qualcuno si fosse divertito a defecarci sopra prima di lasciare l’alloggio.

Entusiasta dell’inizio esilarante, mi appresto a cercare la cameriera ai piani. Dopo aver ispezionato anche gli sgabuzzini, incrocio una coppia di indiani di età avanzata, quasi in stato di decomposizione, che spingono un carrello colmo di asciugamani lerci. Li avvicino con un sorriso e gli spiego l’accaduto. I due sciamani continuano a sorridere mostrandomi file di denti con i colori dell’autunno e capisco che parlano solo l’urdu e penso che la comunicazione verbale sia praticamente impossibile. Li accompagno, quindi, nella mia stanza e illustro lo scempio. Capiscono. Prostrandosi e elargendo espressioni tratte dalla commedia dell’arte, si avviano al recupero di materiale degno del prezzo della camera.
Non c’e’ più tempo per ponare.E’ tempo di rendersi decenti e affrettarsi verso la sede del grande evento. Il tutto si svolgerà al ristorante, cerimonia compresa così, se mi viene fame – penso – afferro un tramezzino dal buffet e lo ingurgito senza farmi notare.
All’arrivo, agli uomini sbattono sulla testa la kippa’ in pelle di renna artica. Le donne sono addobbate come se dovessero andare al Gala’ della Croce Rossa monegasca: abiti lunghi e luccicanti, solidificati da strati di paillettes, perle, zirconi e oggetti contundenti e acconciature alla Maria Antonietta, quando aveva ancora la testa sul collo.
La tenda con l’altare e’ stata sistemata proprio accanto al tavolo dei dolci vicino ad un cabare’ di cannoli siciliani e bomboloni alla panna.
Arriva il rabbino, naso adunco e gli occhi ravvicinati da primate. Inizia a cantare, emettendo note in cirillico sulle tonalità di Bocelli.
Entrano le damigelle d’onore, allestite per l’occasione come infante alla corte di Isabella di Spagna, e cospargono il tappeto rosso di petali di rosa. Arrivano i testimoni e poi lo sposo con il frack grigio accompagnato dai genitori in evidente stato di commozione emotiva, poi la sposa: abito bianco a baldacchino, con guanti ascellari e il velo della Madonna di Loreto.

A metà strada verso l’altare, la mamma alza il velo e sussurra poche parole:
- scappa! Ho già chiamato il taxi.
Per ricreare l’effetto Siberia, tanto cara alla popolazione russa, al posto dell’aria condizionata sono stati usati i cannoni per la neve artificiale, cosicché il solo aprire la porta delle cucine sviluppa un gradevole blizzard che rinfresca l’aria. Per un momento ho la sensazione che tutti i liquidi del mio corpo si siano congelati. Mi faccio un bellini.
La band, sistemata su di un palchetto alla destra dell’altare, scenograficamente allestito con cielo stellato nella notte di San Lorenzo, accompagna le evoluzioni canore del rabbino che canta a squarciagola.
Gli sposi si scambiano gli anelli e i voti. Alle incaute dame che non hanno usato il rimmel waterproof, scendono rivoli neri.
Tutti cantano e si preparano alla grande abbuffata.
Le tavole, sontuose e opulente, sono già imbandite con venticinque antipasti. Un tipo, che assomiglia tanto a Denny DeVito in sovrappeso e ha una chierica ad emulo di quella di San Francesco d’Assisi, siede al mio tavolo e pasteggia con una bottiglia di cognac e una di Chateau Lalande-Borie, alternando le sorsate da un bicchiere all’altro. Dopo un po’ di questo altalenare, assume la colorazione di un tedesco dopo una giornata al mare. Man mano che avanzano le portate, si alza il volume della musica. Il cantante, che sembra un sopravissuto al disastro di Chernobyl, ci diletta con alcune canzoni popolari russe e brani di Charles Aznavour. Dopo due ore di portate continue, con orrore mi accorgo che siamo fermi agli antipasti. Il fegato sta urlando: pietà! e mi chiede l’amaro Giuliani. Una vecchia arpionata ad un tripiede si scatena in pista e falcia uno dei camerieri.
Arrivano i Pel’meni e il DeVito russo brinda con una nuova bottiglia di cognac. Nasdrovia! Nonostante abbia uno dei cannoni ad aria gelata puntato sulla schiena, e’ sudato come un cavallo. Ormai la musica ha preso il sopravvento e affatica la comunicazione. Il sopravissuto a Chernobyl smette il microfono e piazza un nastro pre-registrato. I bassi mi stanno prendendo a pugni lo stomaco con la forza di un martello pneumatico. Una massiccia cacofonia ci assedia quando, come una sciabolata, mi arrivano all’orecchio le note di “Sono un italiano” di Toto Cutugno. A questo punto mi fermo e vi dico che la faccenda si e’ fatta incresciosa quando, in seguito, e’ partita anche “Ti amo” di Umberto Tozzi.

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Sunday, July 01, 2007

iPHONE


Eccomi a voi con alcune strazianti foto scattate il giorno dell’iDay, mentre si procedeva al conto alla rovescia in attesa della messa in vendita del tanto chiacchierato iPhone. Sono le 9.00 del mattino. Davanti il punto vendita Apple sulla 5° c’e’ un fermento da serata degli Oscar. I fan del marchio con la mela bivaccano da giorni dietro alle barricate, sistemate tutt’intorno in attesa dell’ora X. Siamo al vero e proprio stato d’assedio.

C’e’ chi ha piantato la tenda di Winnie The Pooh sul marciapiede ed e’ pronto a lanciarsi all’attacco, chi per comodità si e’ portato un bel materasso a due piazze, che poi se ci scappa una sveltina con qualche sventolona in coda, non e’ neanche tempo perso.

Per il repentino abbassamento della temperatura, gli arditi conquistatori delle prime posizioni sono tutti infagottati in coperte di pile e cerate e attendono con pazienza di fare l’acquisto agognato. Una svaporona, con un prendisole turchese e i capelli ossidati dai tubi di scarico delle vetture che circolano 24 su 24, ammazza il tempo facendo bolle di sapone dopo aver esaurito le sue capacità intellettive nella lettura di Life Style, altri soggetti con le occhiaie di Nosferatu si dedicano ad attività artistiche, come la pittura sulla carta oleata riciclata dall’imballo dei panini e meditative nella posizione del ciabattino indiano.

Flash, Zoomate, cineprese, i media sono già all’opera. Speaker laccatissimi in giacca e cravatta, ricoperti da strati di terra di siena e capelli gelatinosi, si lanciano nelle interviste più spietate.
- Come ti chiami?
- Da quanti giorni sei qui?
Nancyyyyyyy! Levami sto lucido dalla fronte, ue’, che mia mamma mi sta guardando.

La fila si snoda attorno all’isolato tra la 58° e la 59° e si allunga di minuto in minuto.
I turisti scattano foto, le guardie giurate si annoiano. Steve Jobs si sente molto vicino a Dio.








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